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Onda Libera - Centro Acquario Vignate (MI) 8 settembre - 8 ottobre 2016 | |
Una mostra di opere blu, il cui titolo si riferisce sia all'Onda - il movimento di protesta studentesco - sia a Libera, l'associazione contro le mafie. Espongono Melita Briguglio, Franco Fasulo, Liana Ghukasyan, Cesare Giardini, Luca Pugliese. |
La lotta alla mafia, il rispetto dell’ambiente, la sovranità popolare, la solidarietà ai popoli emarginati e discriminati, la libertà di protesta studentesca, le morti sul lavoro, l'immigrazione. Una mostra di opere blu, in tutte le sue sfumature - Ciano, di Prussia, Oltremare, Klein - il cui titolo riprende quello dell'omonima raccolta musicale dei MODENA CITY RAMBLERS (in concerto il 17 settembre al Centro Acquario) che si riferisce sia all'Onda - il movimento di protesta studentesco nato nell'autunno 2008 - sia a Libera, l'associazione contro le mafie fondata da don Ciotti. 'C'è un legame antico tra musica e desiderio di libertà. Perché la musica - continua don Ciotti - è espressione profonda dell'umano e non c'è nulla di più umano che la nostra aspirazione ad essere liberi'. FRANCO FASULO, MELITA BRIGUGLIO, LIANA GHUKASYAN, CESARE GIARDINI E LUCA PUGLIESE esprimono con le loro opere pittoriche la forza di questo rapporto, fondendo musica e coscienza civile, arte e sete di giustizia. Il riconoscimento del genocidio armeno è il leitmotiv della poetica della pittrice Liana Ghukasyan (Magdeburgo, 1986) che come armena crede nella ricerca di un tempo nuovo dopo la morte della storia proponendo al pubblico autoritratti nei quali l’espressione del gesto pittorico si fonde con la figura in una tradizionalità a cui anela essendo lontana dalla propria terra d’origine. Fotografie pittoriche nelle quali “il melodramma procede di pari passo con l’amore, mentre il sesso femminile diventa un organo cinico che perde il proprio sapore”. La donna come parte integrante del cosmo, albero ri-generatore e acqua che crea vita appare invece nelle opere di Melita Briguglio (Vigevano, 1966) nelle quali la cura stilistica del dettaglio lascia spazio a una poetica intima e spirituale di fusione con la natura intesa come creato. Un equilibrio perfetto che nelle opere di Luca Pugliese (Avellino, 1973), architetto, pittore e musicista-cantautore diventa un Cosmo sonoro, poetica che traduce la “necessità ontologica, insita nel musicista-pittore, di sostanziare l'orizzonte acustico-visivo della propria ricerca e della propria percezione”. Gli alberi, le stelle e le fogli appaiono così come note sospese in uno spazio di eterna magia, rude e secca come la terra irpina e i suoi stilemi longobardi rimasti nella storia e nel tempo ma delicato come i colori, i profumi e i sapori del suo paesaggio. Dall’entroterra al mare, al Mediterraneo quale via di transito, di partenza e destinazione. Alla Sicilia di Franco Fasulo, che con le sue opere cerca di portare il mare nella tela, i “destini incrociati” dei porti e il colore e la matericità delle navi. “Mentre una fotografia se ingrandita anziché far vedere i particolari si sgrana – scrive di lui Giusy Randazzo - Fasulo avvicinandosi alle sue navi vince sulla forma e finalmente trova l’essenza del mare. L’orizzonte è sempre presente. Distingue mare e cielo. Divini e mortali. Terra e mondo. […] Il taglio c’è ma non è un taglio, l’astrattismo c’è ma non è astrattismo, la nave c’è ma non è una nave”. Un’immensa distesa blu dove il colore è movimento e continuo ritorno all’origine. Le marine del ciclo “Il mare d’inverno” di Cesare Giardini (Vigevano, 1948) rappresentano un continuo mutamento di luci e sfumature seguendo il naturale e lento scandirsi del tempo. Nelle sue opere il colore e l’informale rappresentazione del paesaggio lascia spazio a una figurazione ironica e grottesca in virtù di un innato “senso del retrocedere delle immagini” come scrisse su di lui Raffaele de Grada, che si ritrova nella serie di opere dedicate al tema del viaggio e ai contrabbandieri, con immagini che fanno pensare a qualcosa che avviene rapidamente, che non si fissa, che non è statico. Il contrario della pittura così com’era stata concepita fin dal trecento e che dal futurismo in poi diventa movimento. Un andare e venire continuo di personaggi che tentano di bloccare il tempo stesso come nell’opera “Il grande Selfie”, dove il mezzo diventa messaggio e critica sottile ma puntuale all’ipertrofia tecnologica contemporanea. (MM) |
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