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L\'Eternel  et  l\'Infini  ,  2015 I nove fotografi
Nove voci di spicco della fotografia internazionale interpretano la preziosa, classica e contemporanea unicità dei Musei Vaticani. La mostra fa parte del ricco programma di Milano PhotoWeek 2018.
Immagini Correlate (2)

Bill Armstrong

From Sistine Chapel, Gestures – Michelangelo Frescoes; Presences – Quattrocento Frescoes, 2015

Unico a lavorare in modo specifico nella Cappella Sistina, Bill Armstrong si è concentrato sui volti delle figure realizzate negli affreschi del Quattrocento - Presences - e sui gesti che animano la Volta e il Giudizio di Michelangelo - Gestures. Il suo procedimento si concentra sul tema della dissolvenza, del “fuori fuoco” come registro stilistico e interpretativo: le figure vengono isolate e poste su potenti sfondi colorati, prima di essere nuovamente fotografate e sfocate. L’esito è la creazione di due serie, ognuna di nove immagini, che contrappongono l’armonica fissità dei volti quattrocenteschi alle sagome dei personaggi michelangioleschi, che paiono nuotare nello spazio. Nella prima serie le espressioni rimandano a una diversità di atteggiamenti che restituisce la ricerca dell’ideale rinascimentale. Il tema scelto nella seconda serie, tratta da Michelangelo, è invece quello della caduta dell’uomo; al centro della composizione la figura di Eva che accetta il dono della mela, mentre tutto intorno danzano i corpi delle anime cadute in un ritmo che precipita dall’alto verso il basso.

Nato nel 1952 a Montreal (Canada), Armstrong vive e lavora a New York. Dopo gli studi in Storia dell’Arte si dedica alla fotografia. Dal 1997 lavora alla serie Infinity, che raccoglie fotografie fuori fuoco realizzate con l’obiettivo puntato all’infinito. Con questa particolare tecnica i soggetti si smaterializzano, diventano evanescenti, si trasformano in forma e colore. Una delle sue realizzazioni viene scelta per la copertina del libro di Lyle Rexer, The Edge of Vision: The Rise of Abstraction in Photography (2009). La sua serie Mandala è stata presentata al Philadelphia Museum of Art nel 2008. Le fotografie di Armstrong fanno parte di importanti collezioni pubbliche e private.

Peter Bialobrzeski

Vatican, 2015

Bialobrzeski a lavoro

Nella serie Vatican, l’obiettivo di Peter Bialobrzeski si sofferma sulla configurazione architettonica dei corpi che compongono l’organismo dei Musei Vaticani. Nella luce mattutina o crepuscolare emerge il “palinsesto” di epoche, forme, funzioni, racchiuse dentro e fuori le mura del Vaticano. Con una sola eccezione, le otto fotografie presentano una visone dall’alto. In alcuni casi a volo d’uccello, quasi cartografica e vertiginosa, prese dalla ringhiera più alta della cupola di San Pietro o dalla sommità della Torre di Leone IV nei Giardini Vaticani; in altri casi la visione è più ravvicinata, con inquadrature prospettiche ma mai secondo un asse centrale, prese dai corridoi del Museo Egizio, dal tetto del Braccio Nuovo o dalle terrazze delle case di Borgo. Con una calibrata modulazione dell’apertura del diaframma, i colori entrano a popolare gli spazi come elemento costruttivo delle immagini, quasi a comporre vere e proprie architetture di architetture, in un equilibrio mobile tra vuoto e pieno, vicino e lontano, intimità e distanza.

Nato nel 1961 a Wolfsburg (Germania), Peter Bialobrzeski ha studiato Politica e Sociologia prima di diventare fotografo. Viaggia in Asia e studia poi fotografia alla Folkwangschule di Essen e all’LCP di Londra. La sua osservazione dello spazio sociale e urbano lo porta a realizzare profonde e originali realizzazioni raccolte in libri come Neon Tigers: Photographs of Asian Megacities (2004), Case Study Homes (2010) e The Raw and the Cooked (2011). Dal 2002 è professore ordinario di fotografia presso l’Università delle Arti di Brema. Tra i numerosi premi vinti, ricordiamo l’Erich Salomon dalla DGPh (2012).

Antonio Biasiucci

Magazzino delle Corazze, 2015

Antonio Biasiucci è l’unico tra i nove autori ad aver lavorato nei depositi: luogo privato, quasi “segreto” di ogni realtà museale, per sua stessa natura non accessibile e destinato a contenere e serbare un patrimonio meno noto di quello esposto al pubblico, ma altrettanto ricco e prezioso. Tra i numerosi depositi dei Musei Vaticani, ha scelto il Magazzino delle Corazze, che dà il titolo alla serie. Un grande ambiente circolare di straordinario fascino, dove dal Settecento sono custoditi materiali classici: statuette, teste, frammenti. Biasiucci ha selezionato una trentina di reperti, e con ognuno ha instaurato un dialogo intimo, in cui la luce, dosata, meditata ha funzionato da canale comunicativo. Il risultato è un’installazione, quasi un mosaico, in cui l’accostamento dei singoli “frammenti” crea un insieme parlante: ricordi assemblati nel grande contenitore della memoria storica.

Nato nel 1961 a Dragoni (Caserta), si trasferisce nel 1980 a Napoli e lavora sugli spazi delle periferie urbane e sulla memoria personale fotografando riti, ambienti e persone del paese nativo. Nel 1984 inzia una collaborazione con l’Osservatorio Vesuviano. Nel 1987 conosce Antonio Neiwiller, attore e regista di teatro: con lui nasce un rapporto di collaborazione. Tra i riconoscimenti ottenuti, l’“European Kodak Panorama” (2005), il “Kraszna/Krausz Photography Book Awards” per i Res. Lo stato delle cose. Ha pubblicato, tra l’altro, Magma (2008), Vacche (2000), Dei pani, dei volti (2011) e Codex (2016).

Alain Fleischer

L'Eternel et l’Infini, 2015

Alain Fleischer ha creato un percorso attraverso gli ambienti dei Musei Vaticani in cui la dimensione spaziale si trasforma in un’esperienza temporale ed emozionale, e la dimensione monumentale delle immagini si traduce in una diluizione della durata della visione. Abituato a lavorare nelle sale museali, per questo progetto, che ha intitolato L’Eternel et l’Infini, si è mosso come un “visitatore privilegiato”, attratto dai singoli capolavori e dal modo in cui vivono nello spazio, ma anche affascinato dalla scoperta delle relazioni che le opere intrattengono tra loro e con il contesto architettonico che le contiene. L’esito della sua “visita” è uno stupefacente itinerario visivo, composto da undici fotografie panoramiche di grande formato (un metro di altezza per tre di larghezza), che accompagna l’osservatore nello spazio e nel tempo. Le immagini creano giustapposizioni del tutto nuove; come “nastri” narrativi accolgono e contengono la stratificazione storica e le intrinseche contraddizioni che caratterizzano questo museo plurale, restituendo il senso di continuità temporale che come un filo rosso ne collega i molteplici aspetti.

Nato nel 1944 a Parigi, dopo gli studi in Lettere, Linguistica, Semiologia e Antropologia, si dedica al cinema, alla fotografia, alla scrittura e all’insegnamento. Nella sua arte declina il linguaggio visivo della fotografia con un’attenzione a quello pittorico. Vincitore del Prix de Rome, su incarico del Ministero della Cultura francese concepisce il centro di formazione artistica “Le Fresnoy – Studio National des Arts Contemporains” che dirige dal 1997. Ha pubblicato volumi di saggi, narrativa e tra i suoi video ricordiamo L’Art d’exposer (1984), Le Louvre imaginaire (1992), Centre Pompidou. L’espace d’une Odyssèe (2007). Tra le sue retrospettive, quelle del CNP (1995) e della Maison Européenne de la Photographie di Parigi (2003).

Francesco Jodice

Spectaculum Spectatoris, 2015

Francesco Jodice si interroga e lavora dal 2011 sul ruolo del visitatore, portando avanti il progetto Spectaculum Spectatoris: tentativo di costruzione di un atlante contemporaneo, quasi un ritratto senza fine del “viandante museale”. All’interno di questo progetto è entrato anche il lavoro svolto nei Musei Vaticani. Qui Jodice ha scelto cinque diverse “cornici”: il Museo Gregoriano Profano, il Museo Gregoriano Egizio, la Scala Simonetti, il Museo Pio Clementino e la Sala della Biga, trasformando i luoghi in veri e propri set fotografici. Ha poi chiesto a singoli o a gruppi di persone di mettersi in posa, gli occhi nell’obiettivo. Il casting è stato fatto tra il pubblico di giornate qualsiasi: si incontrano così coppie, famiglie, sposi con gli abiti nuziali, religiosi in visita ufficiale. Questa galleria di ritratti racconta l’umanità che abita gli spazi dei Musei. Ricambiare i loro sguardi diretti, frontali, accende la fiducia nell’esistenza di un tempo necessario alla visione: dell’opera, o dello spettatore.

Nato nel 1967 a Napoli, vive e lavora a Milano. Laureato in Architettura, lavora in ambito artistico dal 1995. La sua ricerca indaga i mutamenti del paesaggio sociale, con un’attenzione ai fenomeni di antropologia urbana e alla produzione di nuovi processi di partecipazione. Insegna al NABA di Milano e alla Scuola Holden di Torino. Ha partecipato a manifestazioni come Documenta, la Biennale di Venezia, la Biennale di Saõ Paulo, la Triennale dell’ICP di New York. Tra i suoi progetti principali, l’atlante fotografico sull’evoluzione del paesaggio sociale What We Want, l’archivio di pedinamenti urbani “The Secret Traces” e la trilogia di film sulle nuove forme di urbanesimo “Citytellers”. Panorama (Camera, Torino, 2016) è stata la prima retrospettiva sulla sua carriera.

Mimmo Jodice

I volti della memoria, 2015

Mimmo Jodice ha scelto di concentrarsi sulle opere della classicità, puntando lo sguardo su una serie di teste marmoree esposte nella Galleria Chiaramonti, nel Museo Pio Clementino e nel Museo Gregoriano Profano. Il suo lavoro meditato, metodico e raffinato si è svolto in una vera ricognizione peripatetica di antico fascino. Uno per uno, ha selezionato gli “attori” dei ritratti guardandoli negli occhi. Seguendo il tempo morbido dell’attenzione, lo sguardo e il passo si sono avvicinati con lucidità alle opere della ritrattistica di età romana. La stessa cura l’ha posta poi nel calibrare i contrasti in fase di stampa, come sempre eseguita personalmente. Questi Volti della Memoria, di donne, di uomini, di fanciulli, che ci guardano o guardano accanto a noi, sono testimoni di quella specialissima capacità antropologica, “magica”, dei musei, di riattivare lo sguardo verso il passato-presente, di essere, davvero, luoghi di incontro.

Nato nel 1934 a Napoli, nel 1970 diventa il primo docente di fotografia nelle Accademie di Belle arti. Nel 1980 pubblica Vedute di Napoli. Del 1995 è il suo lavoro sul Mediterraneo. L’attenzione allo spazio e alla memoria personale e collettiva, costituisce il tratto principale di gran parte della sua straordinaria produzione, tra cui Eden (1997), Perdersi a guardare (2007), Pompei (2010), Gli occhi del Louvre (2011). A Jodice sono stati conferiti riconoscimenti come il Premio Feltrinelli dell’Accademia dei Lincei (2003), la Laurea Honoris Causa dell’Università degli Studi Federico II di Napoli (2006), e nel 2011 il titolo francese di Chevalier de l’Ordre des Art et des Lettres (2011). Nel 2016 il Museo MADRE di Napoli gli ha dedicato una grande retrospettiva, “Attesa. 1960-2016”.

Rinko Kawauchi

Echo, 2016

La giapponese Rinko Kawauchi si è concentrata sugli intervalli spaziali e temporali, gli angoli vuoti, i punti di transito, le crepe disegnate sui muri, dietro le opere, le tracce che i visitatori lasciano, il turbinio colorato della folla osservata da lontano. Le sue visioni, che racchiude sotto il titolo della serie Echo, costruiscono le tappe di un itinerario anomalo. I soggetti abituali, sottoposti a una sorta di processo di sublimazione, vengono restituiti all’occhio dell’osservatore distillati, spogliati delle scorie dell’abitudine. Grazie al suo sguardo i Musei Vaticani diventano sorgente di suggestioni inaspettate e storie visive inedite, tornando ad essere luogo di silenzio e contemplazione, quale ogni museo dovrebbe essere per poterne godere gli infiniti piani di lettura.

Nata nel 1972 a Shiga (Giappone), Rinko Kawauchi vive e lavora a Tokyo. Nel 2001 pubblica tre libri: Utatane, Hanabi e Hanako, che suscitano scalpore nel mondo della fotografia giapponese. Il suo approccio unico, teso a “ritrarre i sensi”, l’attenzione per i dettagli del quotidiano, il ciclo della vita e la sua transitorietà destano l’ammirazione degli amanti dell’arte in tutto il mondo.

Nel 2002, vince il premio “Kimura Ihei” e nel 2009 l’“Annual Infinity Award” dell’ICP nella categoria Arte. Tra le sue opere Aila, The Eyes, The Ears e Illuminance.

Martin Parr

Vatican Museums, 2015

Per il progetto Vatican Museums, Martin Parr ha lavorato in due diversi periodi dell’anno 2015, scattando tra la folla, senza preoccuparsi di essere riconosciuto quale elemento estraneo e afferrando invece gli aspetti più veri e paradossali di una società che lo interessa e lo affascina. Il suo lavoro si è svolto nelle zone limitrofe all’ingresso dei Musei Vaticani e internamente, negli ambienti espositivi, costruendo un affresco fotografico cromaticamente sgargiante, ironico e profondo, sulla popolazione che gravita dentro e fuori alle mura dello Stato più piccolo del mondo. Ne scaturisce una comunità multietnica e variegata, che affronta i Musei come una vera e propria meta di pellegrinaggio e li attraversa dando vita ad un campionario di atteggiamenti e gestualità, talvolta in risonanza con i capolavori che li circondano.

Nato nel 1952 a Epsom (Surrey-UK), Martin Parr studia fotografia al Politecnico di Manchester. Dopo accesi dibattiti per lo stile provocatorio della sua fotografia, nel 1994 diventa membro di Magnum Photos, di cui sarà presidente dal 2013 al 2017. Il suo lavoro è stato raccolto in una serie di mostre in diversi musei come la Tate Modern di Londra, che ha acquistato recentemente la sua importante collezione di libri fotogarfici. È anche docente e curatore di libri e mostre: portano la sua impronta il Festival di Arles del 2004, la Biennale di Brighton del 2010 e la mostra Strange and Familiar del Barbican di Londra. Nel 2017 fonda la Martin Parr Foundation a Bristol.

Massimo Siragusa

Spazio e Materia, 2015

Per il progetto Massimo Siragusa ha creato una sequenza d’immagini, dal titolo Spazio e Materia, di grande impatto scenografico, cromaticamente raffinate come acquerelli, che danno conto della maestosità e dell’armonia di una serie di sale e di ambienti di snodo dei Musei Vaticani, soprattutto nell’area che ospita le raccolte di antichità classica. Attraverso un disorientante lavoro sulla luce, gli spazi appaiono come grandi contenitori divelti dal tempo storico e dalla vita reale, che raccordano tra loro le opere e i secoli. Inquadrature solo apparentemente stabili rendono manifesta la “personalità” dei singoli luoghi, magicamente accomunati da un’atmosfera d’incantesimo.

Nato nel 1958 a Catania, Massimo Siragusa vive a Roma dove insegna Fotografia. Nelle sue ricognizioni fotografiche si è spesso interessato di attualità, di emergenze sociali e delle mutazioni del paesaggio, urbano e rurale, in una serie di lavori approfonditi e di ampio respiro. Ha pubblicato su importanti riviste, italiane e straniere, e ha firmato numerose campagne istituzionali. Ha vinto diversi premi tra cui tre Sony Awards e quattro World Press Photo. Trai suoi libri: Il Vaticano, Il cerchio magico, Credi e Teatro d’Italia. Dal 2017 dirige lo spazio artistico Plenum Gallery di Catania.

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