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Giobbe Giobbe. La notte e il suo sole
Dal 3 maggio al 20 luglio 2014, la mostra itinerante "Giobbe. La notte e il suo sole", realizzata con opere di Francesco Betti sarà al Museo di Arte Sacra di Romano di Lombardia; l’esposizione ripercorre la vicenda biblica di Giobbe.

Gli amici di GiobbeL’esposizione ripercorre la vicenda biblica di Giobbe che attraverso situazioni drammatiche di privazioni, dolore e sofferenza giunge alla serenità.

Dopo la tappa iniziale al Museo d’Arte e Cultura Sacra di Romano di Lombardia, che si concluderà domenica 20 luglio, la mostra toccherà altre tre tappe bergamasche: il Convento SS. Trinità di Serina, l’Atelier del Tadini di Lovere e la Chiesa del Buon Consiglio di Grumello del Monte. Grazie alla collaborazione con il Banco Popolare l’evento espositivo avrà poi modo di proseguire a Verona presso la Chiesa di San Pietro in Archivolto e a Pitigliano (GR) al Museo Diocesano presso lo storico Palazzo Orsini.

Attraverso tredici grandi tavole realizzate con tecnica mista su tela, caratterizzate da linee nette e marcate, l’artista trasforma la parabola biblica di Giobbe in una metafora della vita dell’uomo.

Il catalogo della mostra include testi dei curatori, monsignor Tarcisio Tironi (presidente del MACS e Parroco in Romano di Lombardia) e dott. Angelo Piazzoli (segretario generale del Credito Bergamasco e della Fondazione Creberg).

SEDI E DATE DELLA MOSTRA “Giobbe. La notte e il suo sole”

ITINERARIO BERGAMASCO

Romano di Lombardia
Museo di Arte e Cultura Sacra – Sala Alberti
3 maggio – 20 luglio 2014
Sabato, domenica e festivi: dalle ore 9.30 alle ore 12.00 dalle ore 16.00 alle ore 19.00

Serina
Convento SS. Trinità
26 luglio – 24 agosto 2014

Lovere
Atelier del Tadini
20 settembre – 12 ottobre 2014

Grumello del Monte
Chiesa del Buon Consiglio
18 ottobre – 16 novembre 2014

ALTRO ITINERARIO

Verona
Chiesa di San Pietro in Archivolto
Via Duomo
29 novembre 2014 – 11 gennaio 2015

Pitigliano
Museo Diocesano – Palazzo Orsini
1 aprile – 28 giugno 2015

Ingresso libero

Catalogo in distribuzione gratuita

Organizzazione
Fondazione Credito Bergamasco (Bergamo)

Curatori
Angelo Piazzoli – Tarcisio Tironi

Fatica, prove, privazioni, tentazioni, tormento, lutto, dolore, sofferenza; la vicenda di Giobbe evoca, a prima vista, situazioni drammatiche, strettamente connesse alla natura dell’uomo e al suo percorso terreno. Nel periodo di difficoltà che stiamo vivendo, risulta immediata l’associazione tra il crescendo di vicende negative che il personaggio biblico è chiamato a sperimentare e la crisi che stiamo soffrendo e dalla quale sembra, a volte, impossibile uscire. Eppure dalla crisi si esce; l’itinerario di Giobbe – per quanto profondamente tormentato e, in molti momenti, disperato – si conclude nella serenità, ancor più preziosa dopo annose tribolazioni, costituita da una vita rinnovata nel segno della libertà, della prosperità, degli affetti, della progenie e del futuro.

Oltre la crisi, dunque, fuori dalla crisi; al di là del buio, la luce. Ecco il senso di Giobbe. La notte e il suo sole.

Itinerari di riflessione

Il ciclo di dipinti realizzati per l’occasione da Francesco Betti si inserisce in un fortunato progetto pluriennale, ideato e prodotto dalla Fondazione Credito Bergamasco. Con Giobbe siamo giunti al quarto appuntamento, dopo Genesi, Via Vitae e Panis Vitae. Il format è sempre il medesimo e parte dall’individuazione di un argomento di interesse generale, procede con il suo chiarimento espressivo/figurativo e si conclude con la condivisione dei risultati, tramite una mostra d’arte.

Siamo partiti da Genesi, che ha rappresentato un momento qualificato per riflettere sulla Creazione, mediante le suggestive opere realizzate da Mario Paschetta. Genesi è stata esposta – tra il 2010 e il 2012 – a Bergamo, Romano di Lombardia, Alzano Lombardo, Lodi, e da ultimo a Clusone presso il Museo della Basilica. Con Via Vitae, nel corso del 2012, abbiamo affrontato la tematica della Via Crucis.

Le opere sono state commissionate ad Angelo Celsi, compresa l’imprevista conclusione del ciclo: la quindicesima stazione raffigurante la Resurrezione di Cristo. Come Genesi, Via Vitae ha riscosso molta attenzione da parte delle Comunità locali, tanto da essere ospitata in cinque location di grande suggestione e in periodi particolarmente importanti per i singoli luoghi (Romano di Lombardia presso il Museo d’Arte e Cultura Sacra durante la Quaresima e il periodo pasquale; Bergamo presso i Padri Domenicani a maggio; Clusone presso il Museo della Basilica e Oratorio dei Disciplini a giugno in contiguità con festività patronali; Schilpario nel periodo estivo; Sotto il Monte Giovanni XXIII nell’occasione delle celebrazioni ottobrine per le ricorrenze inerenti il Concilio Vaticano II). Nella parte iniziale del 2013, Via Vitae ha concluso il suo itinerario in Canton Ticino, nella splendida Chiesa Collegiata di Bellinzona, ove è stata esposta nel periodo centrale della Quaresima; è stata infine collocata definitivamente nella Chiesa di San Giuseppe Artigiano in Seriate a seguito della donazione che la Fondazione Creberg ha operato in favore della Parrocchia di Seriate.

Anche la terza mostra itinerante – Panis Vitae, con opere di Doriano Scazzosi – ha avuto esiti sorprendenti; il tema assegnato (il pane nella sua accezione materiale e nel suo valore semantico e/o escatologico) era strettamente correlato alle caratteristiche tecniche dell’artista – che si qualifica per il ricorso ad un’esplicita forma figurativa, quasi fotografica – e alla sua sensibilità umana, caratterizzata da un rilievo introspettivo e meditativo di grande profondità attraverso un viaggio che da artistico è divenuto spirituale (o viceversa). La risposta delle Comunità ospitanti (Bergamo, Romano di Lombardia, Presezzo) – durante le tappe della mostra durata per buona parte del 2013 – è stata molto positiva, tanto da spronarci a procedere sulla stessa strada.

Credo che la fortuna del nostro progetto nasca da una scoperta molto semplice. Gli artisti di oggi sono felici di poter contribuire a una riflessione nata intorno a un tema condiviso e percepito come urgente. Sono anche sorpresi di poter tornare a confrontarsi con un committente consapevole.

Sul piano socio-culturale mi sembra importante che l’analisi di argomenti profondi e significativi possa essere tema di confronto e di comune operatività tra alcune delle più autorevoli istituzioni culturali dei nostri territori. Abbiamo infatti constatato che ogni Comunità reagisce all’evento diversamente da ogni altra, organizzando autonomi eventi collaterali di approfondimento, in un crescendo di iniziative culturali collegate che ci hanno fatto comprendere come il coinvolgimento crei passione e partecipazione. L’arte riesce davvero ad appassionare lasciando un profondo segno interiore, quando si appalesa “di qualità” e affronta con serietà i temi più profondi della vita, dell’uomo, della fede e dello spirito.

Oltre la crisi

Tempo fa – ancora agli albori della crisi che molti previsori pensavano si sarebbe risolta rapidamente – ci venne il dubbio, approfondendo la tematica, che i tempi difficili si sarebbero protratti a lungo, reputando come il contesto di grave disagio e la profondità della crisi fossero particolarmente accentuati per la civiltà occidentale, nella quale essa ha assunto una connotazione non soltanto economica ma anche sociale, etica e culturale.

Questa riflessione ci ha indotto a rafforzare l’operatività della Fondazione in alcuni ambiti di competenza (salvaguardia del patrimonio storico/artistico, arte e cultura, formazione, ricerca scientifica, solidarietà sociale…) quale testimonianza della nostra passione verso i territori nei quali viviamo. Continuare a investire nella nostra cultura significa continuare a investire nel nostro futuro.

Aver sollecitato un giovane artista come Francesco Betti a confrontarsi con un tema attuale e impegnativo come quello suggerito dalle vicende di Giobbe è per noi un coerente passo avanti. Significa continuare a credere che la nostra millenaria tradizione deve trovare un punto di contatto con le nuove generazioni. Solo così si può intravedere la luce, oltre il buio.”

Tarcisio Tironi
Presidente del Museo d’Arte e Cultura Sacra a Romano di Lombardia
Curatore dell’esposizione “Giobbe. La notte e il suo sole”

“L’olio e la pala

Il timpano del portale di destra, nella cattedrale di Chartres, dedicato a personaggi dell’Antico Testamento, “figure” di Gesù, presenta scolpita una scena che sintetizza l’avventura di Giobbe. Accanto a questo “antico figlio d’Oriente”, disteso su un cumulo di polvere e di cenere, ci sono gli amici da una parte e la moglie dall’altra e, appena sopra, il demonio che gli fa le linguacce e guarda in alto. Lì si trova Dio, tra due angeli, con in una mano un corno di olio che sta per versare come premio, in segno di abbondanza, su Giobbe e nell’altra uno strumento, una specie di pala, per scacciare il diavolo. “Spiegare Giobbe è come tentare di tenere nelle mani un’anguilla o una piccola murena, più forte la si preme, più velocemente sfugge di mano”. Così scrive Girolamo (santo del IV secolo a cui dobbiamo la traduzione della Bibbia dall’aramaico e dal greco in latino), per esprimere la difficoltà di schematizzare e di interpretare questo libro. Quest’opera, una delle più alte della letteratura non solo biblica ma universale, scritta verso il VI secolo a.C., è composta in versi, salvo l’introduzione (capitoli 1-2) e la conclusione (42,7-17). Nel testo attuale Giobbe non è una figura storica, ma è l’immagine di ogni persona. Il libro infatti parla di un’esperienza umana universale e quindi di quella di ogni lettore.

Fammi sapere perché...

Parlare della pazienza di Giobbe è quasi proverbiale, ma nel capolavoro letterario, redatto nel secolo dell’esilio babilonese e della distruzione di Gerusalemme, c’è molto di più. L’opera, infatti, affronta il problema della sofferenza del giusto e dell’innocente e, attraverso le parole e i quesiti del protagonista, rivolge a Dio le domande esistenziali che ogni uomo si pone, gli interrogativi con i quali tutti, prima o poi, dobbiamo confrontarci. Perché l’uomo deve soffrire? Perché soffre anche chi non ha colpa? Come può permetterlo Colui che ci ha creato? Dov’è la giustizia divina?

Il nucleo del libro di Giobbe è il grido del protagonista: l’appassionata ricerca di Dio. “Magari sapessi come incontrarlo, come giungere al suo tribunale! Esporrei davanti a lui la mia causa, con la bocca colma di argomenti, saprei con che parole mi risponde e comprenderei ciò che mi dice” (Gb 23,3-5).

Giobbe è quindi il giusto che, dinanzi alla sofferenza assurda, si ribella e cerca le ragioni profonde interrogando il suo Dio, senza timore di accusarlo.

Giobbe, stella polare nella storia del pensiero e della letteratura.

Soprattutto nel capolavoro del libro di Giobbe, una delle opere più importanti della letteratura mondiale, il testo biblico svela, come sempre, la sua fecondità, la sua continua presenza nella cultura e nella ricerca dell’umanità. Su quest’opera sacra si trova una sterminata bibliografia e il personaggio principale è continuamente ripreso, ispirando scrittori e artisti d’ogni tempo e cultura. Ho scelto alcune delle innumerevoli considerazioni letterarie.

“Una malattia, un naufragio, oltre tali disgrazie provenienti più dirittamente dalla natura, erano segni più che mai certi dell’odio divino. [...] Quà si deve riferire l’infamia pubblica in cui erano i lebbrosi appresso gli Ebrei... Gli amici e la moglie di Giobbe lo stimarono uno scellerato, com’ei lo videro percosso da tante disgrazie, benché testimoni dell’innocenza della passata sua vita” (Giacomo Leopardi).

L’oscurità sarà per te come l’aurora “Ora sto rileggendo e copiando in un libricciuolo tutto il libro di Giobbe; lo trascrivo col testo greco e latino: vorrei pure sapere di caldeo e di ebreo! Sublime libro! Come è pieno di grande e magnanimo dolore! Come parla con Dio senza superstizione, e con le proprie sciagure senza bassezza! L’uomo sciagurato contempla con una certa malinconica compiacenza le tempeste della sua vita. Le passioni sono più consolate in quelle effusioni di amarezze e di querele che in tutte le gloriose sentenze di Epitteto. Sublime libro! Come è pieno di grande e magnanimo dolore!” (Ugo Foscolo).

“Ho letto oggi tutto il libro di Giobbe. Non è la voce di un uomo, è la voce di un tempo. L’accento viene dal più profondo dei secoli ed è il primo e l’ultimo vagito dell’anima, di ogni anima” (Alphonse de Lamartine).

“Se io non avessi Giobbe! Non posso spiegarvi minutamente e sottilmente quale significato e quanti significati abbia per me! Io non lo leggo con gli occhi come si legge un altro libro, me lo metto sul cuore. Come il bambino che mette il libro sotto il cuscino per essere certo di non aver dimenticato la sua lezione quando al mattino si sveglia, così la notte mi porto a letto il libro di Giobbe. Ogni sua parola è cibo, vestimento e balsamo per la mia povera anima. Ora svegliandomi dal mio letargo la sua parola mi desta a una nuova inquietudine, ora placa la sterile furia che è in me, mette fine a quel che di atroce vi è nei muti spasimi della passione” (Søren Kierkegaard).

“Il libro di Giobbe è un libro singolarmente moderno, provocante, non adatto ai conformisti. […] Giobbe è un «vino da vertigini» che scardina e porta oltre; è un reagente inesorabile che corregge alcune idee e cambia un modo di pensare” (L. Alonso Schökel).

Si scopre poi la presenza di Giobbe nel Re Lear di Shakespeare e nel Faust di Goethe; nel Moby Dick di Melville e nei Fratelli Karamazov di Dostoevskij; nei romanzi di Tolstòj e in quelli di Kafka; in Camus e negli esistenzialisti; nella letteratura del ghetto ebraico (c’è un Giobbe di Joseph Roth) e nella psicoanalisi (c’è una Risposta a Giobbe di Jung); nel teatro dell’assurdo, nella teologia negativa, nell’umorismo amaro di Woody Allen.

Ancora recentemente sono numerosi i riferimenti a questo poema. Indimenticabile è The sire of sorrow (Job’s Sad Song) della cantautrice e pittrice danese Joni Mitchell. Il film The Tree of Life di Terrence Malick che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes nel 2011 si apre con una citazione tratta da Giobbe.

Il filosofo sloveno Slavoj Žižek, che si considera un “materialista teologico”, in un’intervista recente, affermava: “Dio in persona respinge le letture ideologiche del dolore suggerite dagli amici dell’uomo sofferente. E anche il discorso finale nel quale Dio si rivolge a Giobbe chiedendogli dov’era lui mentre si svolgeva l’opera della creazione, non ha affatto il valore di requisitoria arrogante che le viene attribuita di solito. La mia interpretazione di riferimento è quella di Chesterton che scorgeva in quelle parole un tentativo di mitigare le pene di Giobbe. Vedi? – gli dice Dio – tutto il mondo soffre, nel cosmo si nasconde un caos che perfino l’Onnipotente fatica a governare” (Avvenire, 29 novembre 2013).

Giobbe e Dio

Lo schema del libro è quello di un dramma con sei personaggi principali: Giobbe, Dio, tre Amici, ed il quarto, Eliu.

Giobbe è il vero ed unico centro del dramma: Dio ne è il secondo protagonista. Il personaggio biblico, nella sua inconsapevolezza, deve sperimentare la disperazione più radicale al fine di testimoniare la sua fede. I tormenti della carne sono il prezzo di questa testimonianza.

Il libro di Giobbe scandalizza e provoca proprio perché dichiara verso e contro tutti che l’eccesso del male è una manifestazione divina, un segno di Dio. Mentre gli amici parlano di Dio, come fosse un oggetto di cui discutere, un’ideologia da difendere, Giobbe parla a Dio, non scappa da Lui neppure quando Egli gli si presenta come un nemico. Giobbe non ha mai cessato di parlare con Dio. La sua fede in Dio e la certezza della sua innocenza lo conducono a discutere con Dio. Il suo parlare è come una “preghiera continua”. Dio per Giobbe non è solo il Vivente, ma costituisce il centro a partire dal quale ogni vita, e in primo luogo la sua, trova senso e significato. Anche nella sua ribellione, quest’uomo “integro e retto” (1,1) resta una persona di fede. E così trova Dio. Il libro di Giobbe è un inno alla povertà del vivere ma anche alla meraviglia del credere e contiene l’affermazione che Dio apprezza molto la persona che si ribella, discute, ragiona, dialoga. Giobbe, quindi, più che esempio della pazienza come è proposto nella Lettera di Giacomo (5,11), è un credente in cammino sulla strada della vita, in bilico tra due profondità, quella della ribellione e quella della fede. I suoi piedi frequentemente scivolano verso la rivolta e la disperazione (“Se posso sperare qualche cosa, il regno dei morti è la mia casa, nelle tenebre distendo il mio giaciglio” 17,13). Rievocando con nostalgia la prosperità di cui godeva in passato, Giobbe ricorda i simboli di benessere pieno ed esclama: “mi lavavo i piedi nella panna e la roccia mi versava ruscelli d’olio!” (29,6).

Quest’uomo che “viveva nella terra di Uz” (1,1) liquida le argomentazioni scontate, formulate dagli amici filosofi e teologi, come insignificanti e insipide (“Che gusto c’è nel succo di malva?” 6,6) e punta diritto all’unico che può dargli una risposta di fronte al dolore e al male, quell’unico che egli sente come responsabile e perciò denuncia sfidandolo a intervenire processualmente. Dio, l’Imputato per eccellenza, contro l’opinione degli amici, accetta di fare la sua deposizione.

Giobbe, in verità, aveva sperato in un mediatore, che portasse al Signore le ragioni dell’umanità ma si era subito accorto che un arbitro, per essere valido, deve essere superiore ad entrambi i contendenti. E chi può essere superiore a Dio? “Ecco, fin d’ora il mio testimone è nei cieli, il mio difensore è lassù. I miei amici mi scherniscono, rivolto a Dio, versa lacrime il mio occhio, perché egli stesso sia arbitro fra l’uomo e Dio, come tra un figlio dell’uomo e il suo prossimo” (16,19-21). Il messaggio di Dio a Giobbe è chiaro: la Terra e il cosmo sono in buone mani, poiché il creatore si occupa di tutte le creature con sapienza e giustizia.

A questo punto Giobbe si rende conto che Dio non gli risolve il mistero del dolore ma sente l’amore di Lui nella risposta che riceve. Infatti il responso al problema dell’ingiustizia della sofferenza si trova solamente nell’esperienza della comunione e dell’affidamento a Dio. Questi ristabilisce il suo fedele nello stato di prima; anzi, raddoppia i suoi possedimenti. Tutti, fratelli, sorelle, parenti e conoscenti di Giobbe vengono a fargli visita, lo commiserano per tutto il male subito e gli regalano ognuno una piastra e un anello d’oro. Egli, “timorato di Dio e lontano dal male” (1,1), ebbe anche sette figli e tre figlie. In tutta la terra non si trovarono donne così belle come le sue figlie. Giobbe visse ancora centoquarant’anni e vide figli e nipoti di quattro generazioni. Poi morì, vecchio e sazio di giorni. Il Signore raddoppia le gioie e i beni di chi a lui si affida. Il suo disegno diventa grande consolazione anche per i lettori.

Giobbe insegna a vivere la prova come una domanda che va posta solo a Dio perché solo Lui può dare la risposta. Dio gradisce il grido di Giobbe perché manifesta la ricerca di un rapporto personale con Lui. Dio lo chiama “suo servo” mentre i tre amici sono definiti stolti.

Dio chiede di essere trattato dall’uomo che soffre con onore, in ricerca affannosa, con coraggio per non arrendersi, verso l’incontro che è suo dono.

A volte la nostra esperienza interiore è segnata dal vuoto e dal silenzio di Dio, che ci porta a fare nostre le parole di Giobbe: “Ma se vado a oriente, egli non c’è, se vado a occidente, non lo sento. A settentrione lo cerco e non lo scorgo, mi volgo a mezzogiorno e non lo vedo” (23,8-9). Eppure Dio agisce su di noi attraverso le esperienze che la vita ci fa fare, dunque anche attraverso le “crisi”, i momenti di buio e di oscurità in cui la vita può portarci.

Giobbe nell’arte

“Giobbe, come la Pietà Rondanini di Michelangelo, è la maturità dell’incompiuto, è la supremazia dell’abbozzo sull’immagine perfetta, del ruvido sulla superficie liscia, levigata” (L. Alonso Schökel, Commentario su Giobbe).

Ogni epoca dell’Occidente cristiano ha saputo trovare nel libro di Giobbe tematiche e materiali affini, dando loro un’espressione artistica originale e inconfondibile. Come per le altre arti anche nella musica il personaggio principale del libro omonimo dell’Antico Testamento è al centro di numerose opere dal 1500 ad oggi.

La storia di Giobbe attraverso le immagini si presenta come il modello di tutte le prove attraversate dall’umanità esaltandone soprattutto la pazienza.

Nella tradizione cristiana, cominciando dalla Lettera di Giacomo (5,11), il libro è visto quasi esclusivamente come espressione del Giobbe sofferente con pazienza. Già nelle prime scene conosciute – sinagoga di Dura Europos (250 circa) e catacombe di Roma (IV secolo) – vediamo Giobbe seduto sul mucchio di cenere, che discute con gli amici.

Da allora è stata ampia la diffusione dell’immagine di questo sapiente, in particolare degli episodi che raffigurano le pene subite, come prefigurazione delle sofferenze di Cristo. Anche gli artisti dell’epoca moderna, tra gli altri Léon Bonnat, William Blake, Marc Chagall, Oskar Kokoschka, si sono interessati alle vicende di Giobbe.

Francesco Betti, giovane artista bergamasco di grandi qualità, ha “reagito” in modo sorprendente ed efficace alla richiesta del Segretario Generale della Fondazione Creberg, di commentare in arte la storia biblica di Giobbe. Nelle sue opere l’artista esprime un intenso cromatismo e un’attenta analisi psicologica con l’intento di indagare il personaggio principale e quanti incontra.

Nei dipinti, segnati da linee nette e marcate, è sempre avvertibile la capacità ri-creativa delle vicende di Giobbe, sia nella resa drammatica della maggior parte delle tavole sia nelle due piene di luce e speranza che rispettivamente aprono e concludono il percorso. La pittura di Betti fa abitare i personaggi, uomini, donne, animali in grandi spazi, secondo schemi coerenti a una continuità che deborda in un movimento di ricerca segnato da colature che scivolano in libertà. La ricerca dell’unione tra sentimento e forma spinge il giovane artista a cercare una partecipazione totale, con una sovrapposizione di tecnologia e umanità senza formalismi.

Inoltre l’artista riesce a rappresentare con grande effetto l’immagine dell’esistenza abbandonata e minacciata di Giobbe, eccellente metafora della vita. Le opere di Betti testimoniano la sua capacità di essersi confrontato con il libro dell’Antico Testamento nonché l’impegno profuso nel creare tredici grandi tavole realizzate con tecnica mista su tela, che lo ha portato a trasformare la parabola biblica di Giobbe in una metafora della visione – certo drammatica ma alla fine serena – della vita dell’uomo.

Portate queste parole contro la tempesta

Karol Wojtyla, a diciannove anni, così conclude il dramma Hiob, composto a Cracovia durante la Quaresima del 1940, sotto l’occupazione nazista e imperniato sulla ricerca del senso dei tragici avvenimenti storici che stavano investendo il suo Paese.

“Portate queste parole con voi nella burrasca, portate queste parole contro la tempesta, portatele quando scende su di voi la tenebra, portatele come un fulmine silenzioso, che appare sopra Giobbe. [...]

E quando incontrerete qualcuno che si torce le mani, ha il cuore disperato, infranto e il timore nel volto, raccontategli: Il Signore ha ridato a Giobbe la sua prosperità e gli ha donato ogni bene, il doppio di tutto quello che aveva prima”.

Perché alla fine ogni notte ha il suo sole

Faccio mia la determinante considerazione di uno dei più grandi studiosi viventi di Giobbe, il biblista card. Gianfranco Ravasi. “Giobbe rimane nella storia e cerca l’eliminazione [della sofferenza] non attraverso la purificazione, ma l’interpretazione teologica. Infatti essa alla fine viene affidata alla ‘visione’ diretta del Signore, cioè ad una sua rivelazione del senso del male: «Io ti ho conosciuto per sentito dire, ora i miei occhi ti hanno veduto»” (42,5).

“Più del sole meridiano splenderà la tua vita, l’oscurità sarà per te come l’aurora” (11,17).”

Francesco Betti
Biografia

Francesco Betti nasce a Bergamo il 23 febbraio 1980.

Dopo aver frequentato il liceo artistico a Bergamo, dove gli sono particolarmente cari gli insegnamenti del pittore Gianfranco Bonetti, Betti si iscrive all’Accademia Carrara di Belle Arti divenendo allievo dell’artista Adrian Paci. Dopo essersi diplomato nel 2003, egli affronta un periodo di lenta maturazione in cui studia e dipinge senza esporre. Le ragioni di tale ritrosia sono spiegate in uno scritto di Patrizia Mologni.

“«Non mi riesce volentieri né di propormi, né di promuovere e veicolare quello che faccio». Così Francesco Betti scrive nella sua tesi di laurea, in cui la descrizione e spiegazione della propria ricerca artistica è affidata alle parole di amici, di galleristi e ai protagonisti di alcuni suoi dipinti. E di questa ritrosia dell’artista a parlare di sé e della propria opera l’interlocutore ha immediata percezione. Così come della timidezza e dell’indolenza che sembrano essersi appropriate della sua personalità.(...) Terminati gli studi, Betti continua a dipingere per passione, nel tempo libero. All’interno di tableaux di medio e piccolo formato (si va dai quadrati di maggiori dimensioni di un metro per un metro a quelli più piccoli di 20 centimetri per 20), dispiega e racchiude il suo mondo figurativo e poetico, che dona inizialmente solo agli amici più cari. La sublimazione di un’emozione, di uno stato d’animo personale e subitaneo mediante il colore il gesto e la forma, il piacere e l’emozione generati dal vedere animarsi sulla tela paesaggi onirici, bastano da sé a giustificare l’atto pittorico.’’ (Patrizia Mologni, Una sublime inquietudine, una perenne metamorfosi. Alla ricerca del bello. 2011).

Solo nel 2010, sotto la spinta di amici, Francesco Betti si convince a perseguire un percorso più ”ufficiale” e visibile anche ad un pubblico che non sia più unicamente la cerchia ristretta delle persone che frequenta. Sono state dunque le circostanze, gli estimatori e gli amici che hanno creduto nel suo lavoro a rendere possibile la realizzazione di una mostra personale dell’artista.

La prima esposizione pubblica dei suoi lavori nasce grazie al sostegno della Fondazione Credito Bergamasco che si accorge del suo talento in virtù della segnalazione di Alberto Sangalli; dopo un importante lavoro di approfondimento e di selezione condotto con i Curatori (Patrizia Mologni e Angelo Piazzoli), il 24 settembre 2011 viene inaugurata la sua prima personale dal titolo In itinere presso la sede del Circolo Artistico Bergamasco con trenta opere che ne documentano il percorso creativo degli anni 2010-2011.

“L’ormai riconosciuta attività di valorizzazione dell’arte –operata dalla Fondazione – è intrecciata con un profondo legame con i territori; questo ci consente di scavare in profondità nel tessuto locale cogliendo anche le realtà meno percepite, pur se di grande valore intrinseco. Per tale motivo reputiamo importante sostenere altresì l’opera di talenti locali poco conosciuti, ma di grande qualità, quale Francesco Betti, al fine di fornire loro una rima opportunità di divulgazione della loro produzione, frutto di una ricerca appassionata e recondita. Francesco Betti è, a mio avviso, sulla strada giusta; modestia (etimologicamente intesa) quale ‘habitus’, notevoli capacità tecniche, rilevanti qualità intellettuali che lo conducono in alcune sue opere a citazioni dotte interpretate ed attuate poi con modalità assolutamente personali, autenticamente innovative. ‘In itinere’ è il titolo che ho suggerito all’artista. ‘Sulla strada’: della vita, dell’arte, della ricerca personale e quale augurio del successo fondato sul valore e non sull’effimero.’ (Angelo Piazzoli, prefazione al catalogo In itinere, 2011).

“Un filo rosso sembra collegare idealmente, sul piano dei soggetti, i dipinti selezionati ed esposti in mostra: la predominanza della figura umana, quale presenza solitaria o ritratta in coppia, ma non per questo meno sola. Il comune denominatore è un gradiente di sofferenza emotiva, inquietudine, malinconia che solo raramente si scioglie in una ritrovata capacità affettiva ed empatica...

Scorre davanti al nostro sguardo una galleria di personaggi silenti, incapaci di comunicare. Si collocano entro lo spazio pittorico, cassa di risonanza del vissuto emozionale dell’artista, distanti tra loro, soggiacenti ad una logica compositiva che amplifica la loro solitudine esistenziale. Accrescono questa sensazione di vuoto e disagio le lunghe ombre scure proiettate dai corpi a terra, gli scarni e isolati elementi architettonici e paesaggistici che costituiscono le coordinate spaziali entro cui far muovere i protagonisti, la tavolozza dei colori dominata dai rossi, dai grigi e dai neri, evidente traslato cromatico delle emozioni dei soggetti ritratti. Ingredienti di cui l’artista si serve per accrescere la temperatura emotiva. Non da meno, è evidente un’uniformità nel profilo stilistico e nella tecnica esecutiva delle opere prescelte. Appare piuttosto manifesto, sedimentato nella memoria visiva dell’artista, il ricordo dell’opera grafica di alcuni illustratori, in particolare degli italiani Lorenzo Mattotti e Gipi (Gianni Pacinotti), e del belga Jean-Michel Folon, abilmente trasfigurato in suggestioni cromatiche e formali. Suggestioni che, solo di tanto in tanto, svaniscono per lasciare spazio a svelati omaggi, come quello a Francis Bacon in The Bacon experience.

Sollecitato da stimoli emozionali e visivi, senza approntare studi e disegni preparatori, Betti stende sulla tela un sommario strato di tempera di colore bianco, dato a rullo senza colmare la superficie sino ai bordi, ottenendo un colore di fondo non uniforme per concentrazione cromatica, segnato da colature, sul quale delinea i suoi soggetti ad acrilico. Uomini, donne e animali. Figure costruite per sintesi formale, dalla stesura sfatta, slabbrata, veloce; dipinti in cui il colore, liquido e gocciolante, scivola sulla superficie pittorica macchiandola...

Solo in un secondo momento della fase realizzativa memore dell’opera pittorica dell’amato Basquiat, di cui è nota la preferenza accordata ai disegni dei bambini rispetto alle opere di ‘veri’ artisti, interviene con i pastelli ad olio, di cui si serve per tracciare sulla tela segni grafici incerti e colorati, che non fanno perdere immediatezza ideativa all’opera... Un’attenta osservazione del tessuto cromatico consente, inoltre, di cogliere parziali e casuali cancellazioni dello stesso mediante l’impiego di una stoffa, nonché graffiature e incisioni di carattere puramente gestuale...

Questo processo elaborativo consente a Betti di sottrarre l’immagine alla mancanza di effetti pittorici e ai colori piatti stesi in grandi campiture, caratteri linguistici essenziali della produzione fumettistica e grafica a lui cara. E solo al termine dello stesso l’opera, sottoposta a incessanti e parziali trasformazioni, perviene al suo aspetto definitivo. Ripetute riprese che costituiscono il costante sforzo di perfezionamento delle qualità espressive della stessa, alla luce di una visione estetica incentrata sulla ricerca della bellezza e dell’appagamento dei sensi.’’ (Patrizia Mologni, Una sublime inquietudine, una perenne metamorfosi. Alla ricerca del bello, 2011).

Il rilevante successo di critica e pubblico lo convince a perseguire questo percorso che lo porta a collaborare con altri artisti e ad esporre in altre mostre collettive e personali.

Sul finire del 2011, Angelo Piazzoli – Segretario Generale della Fondazione Credito Bergamasco – gli lancia una sfida particolarmente impegnativa commissionandogli un ciclo di opere sul tema biblico di Giobbe, con il supporto teologico di Mons. Tarcisio Tironi, Presidente del MACS di Romano di Lombardia. Dopo un lungo periodo di studio e di intenso lavoro – in costante dialogo con i due Curatori e in diuturna relazione con il difficile testo biblico – nell’autunno del 2013 vede la luce Giobbe. La notte e il suo sole che la Fondazione Credito Bergamasco propone nel 2014 alle Comunità locali quale quarta edizione delle mostre itineranti sul territorio che tanto successo hanno avuto negli anni precedenti con Genesi, Via Vitae e Panis Vitae.

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Leonardo Baldini, da Rosso Fiorentino, Angelo musicante Divine Creature
Dal 5 marzo al 14 aprile 2024, è in programma Divine Creature, una mostra che affronta il tema della disabilità, usando il linguaggio dell’arte. Mostra a cura di Adamo Antonacci Fotografie di Leonardo Baldini
Giovanni Bellini (Venezia 1432 ca. - 1516), Compianto sul Cristo morto, 1473 -76, Olio su tavola, cm 107 x 84, Musei Vaticani Quattro artisti contemporanei in dialogo con un capolavoro
Dal 20 febbraio all’11 maggio 2024, il Museo Diocesano Carlo Maria Martini di Milano accoglie il Compianto sul Cristo morto di Giovanni Bellini, uno dei vertici del maestro veneziano, conservato nei Musei Vaticani.
Federico Faruffini Suonatrice di liuto 1865 Ottocento Lombardo. Ribellione e conformismo, da Hayez a Segantini
Dal 13 aprile al 28 luglio 2024, l’Orangerie della Villa Reale di Monza ospita la mostra Ottocento Lombardo. Ribellione e conformismo, da Hayez a Segantini, curata da Simona Bartolena.
Giuseppe Nodari durante la battaglia del Volturno La Spedizione dei Mille
Dal 27 gennaio al 7 aprile 2024, il Museo di Santa Giulia di Brescia ospita la mostra dedicata a un significativo nucleo di opere di Giuseppe Nodari (1841-1898), patriota, artista, medico originario di Castiglione delle Stiviere (MN).
Pasticciotto leccese Guida per conoscere il Salento
Il Salento, situato nel "tacco dello stivale" italiano, è una terra dal fascino ineguagliabile, dove spiagge meravigliose e arte barocca si fondono alle antiche tradizioni e a sapori antichi.
Brescia - Circolo Vela Gargnano La magia di Brescia
Se avesse il mare, Brescia potrebbe candidarsi al perfetto riassunto dell’Italia. E, a essere sinceri, vista la quantità e la qualità dell’acqua in grado di ispirare un autentico clima balneare, non è poi del tutto vero che il mare qui non ci sia.
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