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Silvia Colasanti Anna A., prima assoluta alla Scala
Dal 28 settembre al 2 dicembre 2025 debutta al Teatro alla Scala "Anna A.", prima opera mai commissionata dal teatro milanese a una compositrice donna. L'opera di Silvia Colasanti racconta la vita della poetessa russa Anna Achmatova.

Il Teatro alla Scala fa la storia commissionando per la prima volta un'opera a una compositrice donna. Dal 28 settembre al 2 dicembre 2025 va in scena in prima assoluta "Anna A.", la nuova opera di Silvia Colasanti dedicata alla straordinaria figura della poetessa russa Anna Achmatova, su libretto dello scrittore e traduttore Paolo Nori. Un evento che segna un momento storico per il teatro milanese e per la rappresentanza femminile nel mondo della composizione operistica.

L'opera, inserita nella programmazione per il pubblico più giovane ma destinata a un pubblico universale, sarà diretta da Anna Skryleva, con la partecipazione nelle altre recite di Bruno Nicoli e Paolo Spadaro. La regia è affidata a Giulia Giammona, con scene di Lisa Behensky e costumi di Giada Masi. Sul palco si esibiranno i solisti e l'Orchestra dell'Accademia Teatro alla Scala insieme al Coro dell'Accademia, in una produzione che promette di lasciare il segno nella storia dell'opera contemporanea.

Il cast stellare vede Elena Ghiaurov interpretare Anna Achmatova ormai prossima alla fine come voce recitante, mentre nei panni di Anna giovane si alternano Laura Lolita Peresivana e Etīna Emīlija Saulīte. Carlotta Viscovo interpreta Lidija Cukovskaja, l'amica fedele di Anna che negli anni della censura aveva memorizzato i suoi versi diventandone segreta custode. Aleksandrina Mihaylova e Naslican Karakaş sostengono le parti di Nina Berberova e Marina Cvetaeva, Valentina Pluzhnikova quelle di Zinaida Gippius e Nadežda Mandel'štam, Geunhwa Lee quelle di Sergej Gorodeckij e Nikolaj Punin, Wonjun Jo e Akilbek Piyazov quelle di Nikolaj Gumilëv e Michail Bulgàkov, Haiyang Guo e Zizhao Chen interpretano Osip Mandel'štam, mentre Damiano Salerno dà voce al personaggio allegorico del Potere e il Coro dell'Accademia interpreta le madri, ribattezzato dalla compositrice "Coro di madri".

La figura di Anna Achmatova: una vita segnata dalla storia

L'opera è dedicata alla straordinaria figura di Anna Achmatova (1889-1966), una delle voci più alte della lingua russa e testimone di un'epoca drammatica della storia sovietica. Nata nei pressi di Odessa, in Ucraina, Anna Andreevna Gorenko si affermò con lo pseudonimo di Anna Achmatova distinguendosi nei gruppi di poeti acmeisti, dove conobbe il suo primo marito, Nikolaj Gumilëv, già poeta affermato, con cui ebbe un figlio, Lev, e da cui divorziò nel 1918.

La vita di Anna fu segnata dalle tragedie del regime sovietico. Gumilëv venne fucilato per cospirazione nel 1921 e la censura si abbatté sulla produzione poetica di entrambi. Il secondo marito morì di tubercolosi, mentre il terzo, Nikolaj Punin, venne arrestato più volte, come anche il figlio Lev. Anna riuscì a farli liberare ricorrendo anche all'aiuto di Boris Pasternak, ma Punin venne nuovamente arrestato e morì in un campo di prigionia nel 1953.

La Achmatova riprese a scrivere nel 1940 e durante la guerra venne inviata in un rifugio sicuro in Uzbekistan insieme a un gruppo di intellettuali non del tutto organici ma che il regime voleva proteggere, tra cui Dmitrij Šostakovič. Come ricorda l'opera stessa: "Quando ha risuonato la musica della Settima abbiamo voltato gli altoparlanti verso il fronte. Ci assediate? E noi cantiamo", riferendosi alla Settima Sinfonia di Šostakovič.

Nel 1946 venne espulsa dall'Unione degli scrittori sovietici che la considerava "congelata sulle posizioni dell'estetica borghese-aristocratica". Dal 1949 il figlio Lev fu internato in un gulag e Anna fece la coda con le altre madri e mogli davanti alle prigioni di Leningrado per avere notizie dei propri cari. Nel 1955 venne riabilitata e Lev liberato; nel 1962 pubblicò la sua opera più nota, "Poema senza eroe".

La struttura dell'opera: un flashback tra passato e presente

Colasanti e Nori hanno concepito un lungo flashback in cui confluiscono parti recitate e cantate, creando un intreccio frammentario e diacronico che ricorda proprio "Poema senza eroe", considerato il capolavoro dell'autrice russa. L'opera, elaborata a partire dal 2022 e completata nel dicembre 2024, è frutto del comune interesse per questa figura da parte di Silvia Colasanti e dello slavista Paolo Nori.

L'opera si articola in un atto unico che si apre nel marzo 1966, nel sanatorio di Domoedovo, non lontano da Mosca, dove la poetessa Anna Achmatova è ricoverata e sta per morire. Accanto a lei si trova l'amica scrittrice Lidija Čukovskaja, che si sarebbe fatta carico di raccogliere e in seguito pubblicare un ampio nucleo di testimonianze sulla vita della poetessa, critica nei confronti del regime stalinista negli anni delle "Grandi Purghe" e solo tardivamente riabilitata dal regime sovietico.

L'intersezione tra passato e presente è resa attraverso due piani distinti: la cornice in forma di melologo, in cui Anna e Lidija recitano accompagnate dall'orchestra, e le scene del passato, in cui i personaggi si esprimono con il linguaggio naturale dell'opera: il canto. Al racconto storico frammentato si contrappone il tempo circolare della dimensione affettiva, sempre tesa e cangiante, che sottolinea l'attualità delle situazioni vissute da Anna e incoraggia la partecipazione emotiva, elemento cardine della poetica di Colasanti.

La trama: un viaggio nella memoria

Progressivamente nella mente di Anna riaffiorano i ricordi, generando un doppio piano temporale che alterna dimensione presente e passato. Il primo ricordo è uno dei più dolorosi: dal marzo 1938 per diciassette mesi la donna si era recata ogni giorno al Carcere delle Croci di Leningrado in attesa di notizie del figlio Lev, a più riprese incarcerato dal regime stalinista. Subito dopo ne appare invece uno felice risalente al 1911, quando il primo marito Nikolaj Gumilëv, padre di Lev e poeta già affermato, aveva incoraggiato la giovane Anna a scrivere e a diventare una poetessa agli esordi della sua carriera.

Il quadro successivo porta i due coniugi a una festa da ballo a casa di Zinaida Gippius, dove sono presenti altri intellettuali e scrittori del tempo, tra cui Nina Berberova, Osip Mandel'štam, Sergej Gorodeckij e Boris Pasternak. Lidija ricorda quindi ad Anna il "rito splendido e doloroso" con cui era stata resa possibile la circolazione delle sue opere negli Anni del Terrore: per eludere i serrati controlli del regime aveva imparato a memoria le poesie dell'amica, prima di bruciarle nel posacenere, garantendone una diffusione capillare.

L'apparire della poetessa Marina Cvetaeva evoca il tema della diaspora degli artisti che lasciarono la Russia sovietica e, al tempo stesso, della resistenza di coloro che rimasero e incorsero nella condanna formalista, la stessa che portò Cvetaeva al suicidio. In un continuo avvicendarsi di ricordi delicati e dolorosi, due immagini emergono dal passato rievocando un tenero incontro con Mandel'štam a Pietroburgo nel 1921 e una serata a casa di Anna nel 1933, in compagnia degli amici Nadežda Mandel'štam e Nikolaj Punin, terzo compagno di vita della poetessa.

Approfittando del clima di leggerezza, con irriverente ingenuità Mandel'štam recita un bruciante epigramma in cui condanna Stalin e la sua politica repressiva. Lidija suppone che Lev e Punin siano stati arrestati proprio per aver presenziato alla lettura di quel testo, che aveva provocato la condanna dell'autore, e ricorda come tanti pensatori e amici di Anna, solo tardivamente riabilitati, erano stati uccisi o deportati per ciò che avevano scritto, tra cui lo scienziato Matvej Petrovič Bronštejn, marito di Lidija.

Segue la rievocazione della telefonata di biasimo che Stalin fece nel 1933 a Pasternak, il quale, dopo l'arresto dell'amico Mandel'štam, aveva tentato invano di salvarlo, ma temendo la stessa sorte, non si era esposto. Le due donne ricordano quando nel 1935 Anna aveva scritto a Stalin una lettera per chiedere la liberazione di Lev e di Punin, i quali erano stati rilasciati per essere in seguito condannati ai campi di prigionia, dove quest'ultimo sarebbe morto nel 1953. Qui risuona l'amaro commento dell'amico Michail Bulgakov, a cui Anna si era rivolta per chiedere suggerimento, certo che la missiva sarebbe stata letta: in un tempo in cui gli intellettuali vivevano sotto stretta sorveglianza, Stalin sembrava conoscere persino i loro pensieri.

I cortocircuiti temporali e la presenza-assenza di Lev

Non mancano i cortocircuiti temporali, tra cui i momenti in cui Anna del presente e Anna del passato recitano insieme alcuni testi. Alcuni di essi generano significati specifici: quando nel 1933 Mandel'štam si esprime criticamente nei confronti del regime, Anna chiude le orecchie a Lev, il quale, sebbene ormai quasi adulto, è indicato in partitura come "piccolo", sottolineando così il ruolo protettivo che la donna svolse per tutta la vita nei confronti del figlio e il costante impegno per la sua liberazione.

Sebbene appaia fugacemente in scena e non proferisca parola, Lev assume un ruolo centrale nell'opera e si configura come una presenza-assenza. L'attesa angosciosa di Anna per la sua visita in ospedale attraversa infatti tutta la composizione, richiamando in chiaroscuro quella vissuta durante la sua prigionia e conferendo unità e direzionalità al dramma.

Acconsentendo alla preghiera tormentata di Anna, che si chiede se Lev sia arrivato in ospedale per trovarla, Lidija si allontana, mentre appare il ricordo di Marina Cvetaeva, che le rimprovera le liriche patriottiche scritte in gioventù, tra cui "Dammi molti anni di malattia" (1915), come profezia della sua condizione attuale. Anna del passato intreccia quindi con Mandel'štam un duetto sui temi della morte e degli addii, imperniato sul dialogo tra due liriche con incipit affine: "Ho imparato la scienza degli addii" di Mandel'štam e "Ho imparato a viver con saggezza" da "Rosario" (1914) di Achmatova.

Il potere salvifico della poesia

A seguire Lidija ricorda ad Anna quando durante l'assedio di Leningrado le sue poesie erano diffuse per le strade tramite gli altoparlanti per incoraggiare la popolazione alla resistenza e la sua voce raggiungeva tutti, "persino i morti". A queste parole i fantasmi di Pasternak, Bulgakov, Cvetaeva, Mandel'štam riappaiono e intrecciano un coro a quattro voci. Si manifestano quindi le figure grigie che rappresentano i russi rimasti a Leningrado durante l'assedio nazista, tra cui si riconosce il poeta Gorodeckij, il quale subito si unisce alle voci dei compagni e, insieme a Nadežda e Anna del passato, dà vita a un concertato che inneggia al potere salvifico della poesia.

Il personaggio del Potere e il Grande Inquisitore

L'inno è però interrotto dall'ingresso in scena della personificazione del Potere, aggiunto nelle ultime fasi del processo creativo, che intona un lungo monologo ispirato alla scena del Grande Inquisitore dai "Fratelli Karamazov" di Dostoevskij. Con tono mellifluo e autoritario, il Potere mette a tacere gli intellettuali, ricorda la propria imperitura presenza nelle comunità degli uomini e, rivolgendosi direttamente al pubblico in un momento che rompe la finzione teatrale, dichiara i vantaggi del rinunciare al pensiero critico e alla libertà per ottenere un benessere illusorio e un'edonistica spensieratezza.

Il Potere incombe sempre in scena e si presenta come un personaggio seduttore, che prevarica quando si avverte il peso della libertà, prestigiatore che ipnotizza e incanta. Indomita di fronte alla dittatura annichilente si pone Anna, una figura quasi eroica, coinvolta affettivamente ma salda come uno scoglio tra le onde.

Requiem: il fulcro poetico dell'opera

L'opera ingloba documenti storici, citazioni e numerosi testi poetici, con particolare rilevanza data alle liriche della silloge "Requiem", che ne costituiscono il fulcro poetico. Elaborata in segreto durante gli anni più duri del regime stalinista e circolata in forma clandestina grazie alla complicità degli amici di Anna che ne mandarono a memoria i versi, questa raccolta venne pubblicata solo nel 1963. "Anna A." si apre con l'introduzione della silloge, aggiunta nel 1957, declamata e cantata a due voci da Anna del presente e Anna del passato, e termina con le due liriche che concludono il ciclo.

Ai versi di "Requiem" si accostano quelli di altri poeti russi, come Velimir Chlebnikov e Mandel'štam, di cui viene presentato il celebre epigramma che burla Stalin. Il "Coro di madri" rappresenta le donne che durante gli anni del regime stalinista sostavano in fila al freddo fuori dal Carcere delle Croci di Leningrado in attesa di notizie circa le sorti dei propri figli e mariti reclusi, e delle quali Anna, che per 17 mesi ne condivise il destino, si fece voce attraverso il ciclo poetico "Requiem".

Quando le mogli e madri degli scomparsi assiepate con lei davanti al carcere di Leningrado le chiedono se può raccontare quello che stanno vivendo, Anna risponde semplicemente: "Posso". Una risposta che racchiude tutta la forza e la responsabilità dell'arte di fronte alla sofferenza umana.

La poetica musicale di Silvia Colasanti

Come spiega Silvia Colasanti nell'intervista contenuta nel numero di settembre della Rivista della Scala: "Nell'opera ci sono tre situazioni musicali distinte: il racconto quando è pieno di informazioni, notizie, l'ho affidato alle voci recitanti, su una musica evocativa dell'orchestra perché qui ci deve essere la massima chiarezza. Poi c'è la narrazione vera e propria, intessuta sulle relazioni tra i personaggi, che ho risolto con una sorta di 'canto di conversazione', dove l'aspetto melodico è affidato all'orchestra: sarebbe ridicolo far cantare in modo fortemente lirico parole, espressioni della quotidianità. Il canto più pieno e spiegato arriva solo in corrispondenza dalla poesia (di Anna o di Mandel'štam) o da altri momenti della storia che hanno una speciale valenza espressiva ed emotiva. Un buon libretto d'opera, in generale, deve avere poche parole che fissano subito un'immagine poetica, evocativa, che offra l'occasione di un'espansione lirica".

In un raffinato rispecchiarsi del dramma nella poetica di Achmatova, il testo e la veste musicale rievocano il tono colloquiale delle liriche dell'autrice e la musicalità dei suoi versi, messi in musica anche da compositori quali Sergej Prokof'ev e Arthur Lourié. Alla forte tragicità di alcuni episodi s'intrecciano momenti di grottesca ironia, come le scene in cui Mandel'štam e Bulgakov prendono in giro il regime, entrambe in drammatica contrapposizione con l'incombere della figura del Potere, o di grande tenerezza, come gli incontri con Gumilëv che incoraggia Anna a diventare una poetessa agli esordi della sua carriera, e con Mandel'štam a Pietroburgo nel 1921.

Silvia Colasanti

I temi universali: arte, potere e solidarietà femminile

Tema centrale dell'opera è il rapporto tra arte e potere. La riflessione sulla condizione degli intellettuali e sull'insensatezza del potere autoritario che uccide "per niente" va oltre il caso specifico della Russia stalinista e assume valenza universale. Il flusso di ricordi porta in scena un intrigo di tematiche care alla produzione di Colasanti, tra cui il tema della solidarietà fra donne e della maternità già affrontato in "Proserpine" e in altri lavori, e qui calato nel rapporto col figlio Lev.

A percorrere tutta l'opera è però la forza trasformatrice dell'arte, il cui potere eversivo e salvifico si fa canto di un popolo e gesto estremo di libertà e di resistenza, lo stesso che fa sì che una madre distrutta dal dolore riesca ancora a sorridere all'idea che quel dolore inesprimibile possa diventare poesia.

Il finale: un messaggio di speranza

L'opera si chiude circolarmente con un duplice focus sul rapporto di solidarietà e compassione "al femminile": tra Anna e Lidija, alla quale la poetessa chiede di passare a un più familiare "tu", e tra Anna e le donne fuori dal carcere, delle quali la poetessa si è fatta voce nel ciclo "Requiem". In questo luogo di dolorosa attesa, la donna desidera essere commemorata.

All'alba Anna sta per morire. Come a ricongiungersi col proprio passato, si dirige verso la porta e si rispecchia nella giovane Anna, ricucendo la cesura tra ricordo e realtà e concludendo l'opera con un presente che, pur memore di un passato incancellabile, vuole lanciare un messaggio di speranza verso il futuro.

"Anna A." rappresenta quindi non solo un evento storico per il Teatro alla Scala, ma anche un'opera di grande spessore artistico e umano che affronta temi universali attraverso la straordinaria figura di una delle più grandi poetesse del Novecento. Un'occasione imperdibile per il pubblico milanese e non solo di assistere alla nascita di un'opera destinata a lasciare il segno nel panorama operistico contemporaneo.

Silvia Colasanti
 
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