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La fuga in Egitto, mostra a Venezia Il Tiziano mai visto: la Fuga in Egitto e la grande pittura veneta
29 agosto 2012 - 12 anni di restauri al museo Ermitage e il primo capolavoro di Tiziano, imponente per dimensioni, torna a splendere: dopo 250 anni esce per la prima e unica volta dalla Russia e giunge a Venezia in una grande mostra.

IL TIZIANO MAI VISTO: LA FUGA IN EGITTO E LA GRANDE PITTURA VENETA

Venezia, Gallerie dell'Accademia

29 agosto - 2 dicembre 2012

Ci sono voluti 12 anni di restauri accurati da parte dell’Ermitage per far riemergere i colori, la luce, i particolari, la forza rivoluzionaria dell’opera con cui Tiziano nel 1507 “scopre” la natura in pittura; ed è stato necessario un accordo internazionale tra il Museo Statale Ermitage, la Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Etnoantropologico e per il Polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare, la National Gallery di Londra e la Fondazione Ermitage Italia per consentire che quest’opera, imponente per dimensioni (204 × 324 cm) e sconcertante per la vitalità del paesaggio, potesse tornare – dopo quasi 250 anni – in Italia, nella sua Venezia, in un’esposizione irripetibile.
Tiziano Vecellio La morte di Erisittone Olio su tavola 40,5x167,1 cm Padova, Musei Civici, Museo d’Arte Medioevale e Moderna
Esposta a Londra subito dopo il restauro, La Fuga in Egitto – che a ragione può considerarsi il primo capolavoro di Tiziano – giungerà direttamente dall’Inghilterra alle Gallerie dell’Accademia, dove sarà il fulcro di una mostra preziosissima che avvicina al dipinto circa venti opere dei grandi maestri veneti che, tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento, hanno contribuito a innovare lo sguardo sulla natura (Bellini, Giorgione, Sebastiano del Piombo, Lotto, ed altri ), per poi rientrare all’Ermitage da dove, hanno già annunciato, sarà impossibile possa allontanarsi in futuro.

Un’occasione per ammirare il grandioso paesaggio, eccezionale se non unico, non solo nel panorama della pittura veneziana degli inizi del XVI secolo – realizzato nel formato del tradizionale telero – ma di tutta la pittura italiana del tempo e per cogliere, grazie alle suggestioni e ai confronti proposti nella mostra curata da Giuseppe Pavanello e Irina Artemieva, l’elemento specifico e innovativo della visione paesistica di Tiziano, la sua natura “fremente” e vita che diventa tutt’uno con la figura umana, grazie alla pittura: colore, luce, ombra, atmosfera.
 
Promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico e Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare, dal Museo Statale Ermitage, dal Comune di Venezia e dalla Fondazione Musei Civici di Venezia, in collaborazione con la National Gallery di Londra e con la Fondazione Ermitage Italia, l’esposizione alle Gallerie dell’Accademia, prodotta da Venezia Accademia e Villaggio Globale International (catalogo Marsilio), entra dunque nel vivo del nuovo modo di intendere il paesaggio e il rapporto tra uomo e natura (una delle invenzioni più straordinarie di tutta la storia dell’arte veneta) non solo grazie al capolavoro tizianesco, che ha lasciato per la prima volta la Russia dal 1768,  ma in forza anche delle sceltissime opere che nell’occassione gli verranno affiancate: dall’Allegoria sacra (ora agli Uffizi) di Giovanni Bellini alla Tempesta e al Tramonto di Giorgione, rispettivamente delle Gallerie dell’Accademia di Venezia e della National Gallery di Londra; dal San Girolamo di Cima da Conegliano della Galleria Palatina, all’analogo soggetto raffigurato da Lorenzo Lotto e prestato da Castel Sant’Angelo; dalla Nascita e dalla Morte di Adone di Sebastiano del Piombo (Museo Civico Amedeo Lia, La Spezia) fino alla Fuga in Egitto di Albrecht Dürer e ai trittici di Santa Liberata e degli Eremiti di Hieronymus Bosch.
In sequenza e a confronto maestri veneziani e maestri oltremontani, in un contrappunto da cui emergono le rispettive personalità, in modo da offrire al visitatore opportunità uniche e singolari di comprensione di un passaggio cruciale della pittura rinascimentale.

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Vasari ci racconta che Tiziano, nel 1507 – lo stesso anno in cui realizza la Fuga in Egitto per Andrea Loredan e il suo nuovo palazzo sul Canal Grande, Ca’ Loredan Vendramin Calergi – lascia la bottega di Giovanni Bellini per quella di Giorgione.
Le esperienze cui attinge il giovanissimo pittore sono straordinarie: in quegli anni Venezia diventa infatti il luogo d’elezione per l’elaborazione della rappresentazione del paesaggio in senso moderno, non più sfondo ma “specchio del corpo vivente della natura” e Bellini prima, Giorgione poi sono tra i protagonisti indiscussi di questa avventura.

Lorenzo Lotto San Girolamo Olio su tavola 85x40 Roma, Castel Sant’Angelo Il rapporto tra la figura e l’ambientazione paesistica è un problema che accomunerà, pur nella differenza degli esiti conseguiti, diverse generazioni d’artisti, fin da quando un nuovo sentimento della natura viene manifestandosi proprio nell’opera di Giovanni Bellini, che si mostra capace di illustrare la serena bellezza del creato nella sue variazioni temporali.

Un dipinto come l’Allegoria sacra degli Uffizi con figure di santi nel paesaggio – cui viene accostato in mostra il San Gerolamo di Cima da Conegliano (nella foto a sinistra) – è un esempio di questo nuovo sentire che si esplicita anche nei soggetti sacri e che troverà approfondimenti decisivi nell’opera di Giorgione, nel cosiddetto Tramonto della National Gallery di Londra, carico di misteri e di enigmi come tutta la pittura del Maestro di Castelfranco e come la natura stessa.

Quella che era una semplice componente prende qui il sopravvento e trasforma il quadro quasi in paesaggio puro: una composizione in cui le figurette dei personaggi sacri sono davvero inglobate e partecipano al vasto respiro della natura. È un annuncio della Tempesta dello stesso autore (presente nel percorso espositivo insieme alla giovanile Madonna dell’Ermitage) indicata da sempre come l’opera che apre una fase nuova non solo del fare pittorico ma una Weltanschauung con riflessi ed esiti di particolare rilievo soprattutto nell’attività giovanile di Tiziano e dei giovani contemporanei.
Se in Bellini – come già aveva scritto Mariuz – «i personaggi si accampano monumentali, per cui la natura sembra farsi abside e altare e accogliere icone viventi», in Giorgione il paesaggio e l’elemento atmosferico colti grazie all’osservazione diretta, divengono assoluti protagonisti.

È un’iniezione di nuova linfa nella pittura veneta e rinascimentale, che s’insinua e corre profonda.

Partecipe di questa sensibilità, sia pure su un altro fronte, è anche l’esordiente Lorenzo Lotto alter ego di Giorgione e del giovane Tiziano, sperimentatore anch’egli del tema paesaggistico. Proprio nella raffigurazione del San Girolamo penitente di Castel Sant’Angelo – altra opera in mostra esemplare di questi cruciali quindici anni – Lotto trova esiti diversi, fino a costituire un’alternativa personalissima. Così come originalissima e altrettanto fondamentale per l’elaborazione del tempo appare la soluzione paesistica, visionaria e metamorfica, di Hieronymus Bosch nelle sue opere veneziane: quasi un contraltare al senso della natura arcadico e classicheggiante dei veneziani.

Sarà tuttavia Tiziano a portare a compimento lo sviluppo del percorso intrapreso da Bellini e rivoluzionato da Giorgione, grazie anche alle suggestioni del grande incisore e disegnatore di Norimberga, Albrecht Dürer, che è a Venezia prima del 1498 e poi, per un intero anno, dal 1505 agli inizi del 1507.

Il giovane Cadorino introduce nel paesaggio di Giorgione – pur in una composizione dall’impianto ancora tradizionale come è, nonostante tutto, La fuga in Egitto – il vasto fremito del bosco, la varietà delle sue forme,  la sua animazione impetuosa.
Tiziano trae dalla stampe di Dürer il rapporto pulsante tra le figure e l’ambiente, convertendolo in pittura. La sua diventa così una natura viva e vitale, con una freschezza d’osservazione e una libertà di resa che sembrano escludere il riferimento a qualsiasi schema precostituito; una natura nella quale è possibile calare le passioni e i sentimenti degli uomini.

La straordinaria opera realizzata per il Loredan, ampia finestra sul mondo naturale che aveva colpito anche l’immaginazione di Vasari, riconsegnata grazie al restauro al suo ruolo di capolavoro del Rinascimento, è la prima grandiosa affermazione di questa originalità tizianesca, della sua capacità cioè di trasformare in pura pittura un’innovativa e sbalorditiva interpretazione della natura.

Tiziano nel realizzare questo telero stava per osare addirittura qualcosa in più, innovando completamente il rapporto tra figure e paesaggio anche nella composizione: i raggi X a cui è stato sottoposto il dipinto, presso i laboratori del Museo Statale Ermitage, hanno infatti rivelato sorprendentemente che l’autore aveva inizialmente abbozzato un diverso soggetto – un’Adorazione, ben visibile sotto lo strato pittorico – collocando nel centro della tela tre figure di dimensioni ridotte rispetto a quelle poi dipinte nella Fuga.

Non è chiaro quale sia il motivo che ha spinto il pittore ad abbandonare l’idea iniziale, scegliendo un altro soggetto, per altro ben poco presente nella tradizione della pittura veneta, né cosa abbia indotto Tiziano ad adottare una più tradizionale impostazione delle figure, ma una scintilla era ormai scattata.

Quella spettacolare ambientazione boschiva di dimensioni impensabili, il ruscello dalla pennellata grumosa, i molti animali che animano la tela «i quali ritrasse dal vivo – come scrisse Vasari – e sono veramente naturali e quasi vivi» rivelano una personalità unica e danno inizio a una nuova stagione.


L’opera, la sua storia, il restauro

La grande tela di Tiziano è una delle opere meglio documentate del Rinascimento veneziano e la sua storia può essere ripercorsa quasi esattamente fin dal momento della sua creazione. ammirata da giorgio vasari e descritta anche nei libri del Ridolfi, La fuga in Egitto era stata quasi certamente commissionata da Andrea Loredan, un lontano cugino del doge Leonardo, per il suo nuovo palazzo sul Canal Grande. in russia il dipinto giunse nel 1768, acquistato da Caterina la Grande insieme a parte della celebre collezione del conte Heinrich von Brühl – primo ministro di Augusto iii di Sassonia, tra i più importati collezionisti e mecenati del Settecento – nella quale era confluita. Già l’anno seguente Jacob von Stählin nello scrivere le sue Cronache inseriva il telero nella «Lista dei più importanti dipinti della galleria di sua Maestà Caterina la Grande nel Palazzo d’Inverno di San Pietroburgo».Tiziano Vecellio La Fuga in Egitto Olio su tela 206x336 cm San Pietroburgo, Museo Statale Ermitage

Trasferita successivamente presso il Tauride Palace, nel 1843 passò al Gatchina Palace, nella galleria dei dipinti, dove rimase sino al 1924. Fino ad oggi tra le opere meno studiate e più sfuggenti dell’artista, la Fuga in Egitto esprime poco della maniera matura e più nota di Tiziano e ancora meno dello stile tardo del grande maestro. Molti interrogativi insoluti hanno però finalmente trovato una risposta grazie al lungo e attento restauro avviato dal museo statale ermitage nel 2000 e alla conseguente “rivelazione” del dipinto, con la rimozione di accumuli di materiali presenti sullo strato pittorico e la cancellazione dei precedenti interventi che, per secoli, ne avevano compromesso la visione. L’esecuzione degli interventi è stata accompagnata, come spesso accade per questi casi, da un certo grado di cautela: prima di tutto è stato necessario lo studio e il reperimento di tutte le informazioni riguardanti i precedenti restauri dopodiché è stata eseguita un’accurata analisi tecnica sull’integrità e sulla condizione sia della tela sia degli strati pittorici. I primi resoconti relativi a restauri del dipinto sono giunti fino ai giorni nostri grazie a Jacob von Stählin: si riferiscono al gennaio 1769 quando la Collezione Brühl era ancora situata nel Palazzo d’Inverno.

I successivi spostamenti dell’opera non furono accompagnati da un significativo sforzo conservativo. In seguito al ritorno dell’opera all’Ermitage, nel 1924, furono realizzati invece solo alcuni interventi preventivi.

Nel corso degli attuali restauri, conclusi nel marzo di quest’anno, la luce infrarossa ha rilevato alcuni aggiustamenti/pentimenti dell’autore (la zampa alzata dell’asino e il contorno di alcune figure di animali sono bidimensionali) ma non sono stati evidenziati cambiamenti significativi della composizione generale. la scoperta più sorprendente e inaspettata è stata però fornita dallo studio a raggi x del dipinto, che ha rivelato come l’autore avesse inizialmente abbozzato una composizione totalmente differente – tre figure in scala più piccole di quelle rappresentate nella Fuga in Egitto posizionate nel centro del dipinto – il cui soggetto è riconducibile a quello dell’Adorazione del Bambino. L’Adorazione del Bambino, visibile nelle foto a raggi x, fu inizialmente realizzata in un formato e in una misura della tela identica a quella della Fuga in Egitto, tuttavia sembra che l’artista avesse pianificato una relazione tra le figure e gli elementi del paesaggio totalmente differente rispetto a quella visibile ora.

Ci sono moltissime ragioni che portano a considerare la Fuga in Egitto, realizzata nel formato del telero, come il primo capolavoro di grandi dimensioni creato da tiziano, databile intorno al 1507. Fu realizzato da un artista che si era appena trasferito dalla bottega di Bellini a quella di Giorgione e che fu sicuramente colpito dalla forte personalità creativa di quest’ultimo. Un’influenza che trova espressione principalmente nella scelta di Tiziano della composizione cromatica e nell’idea di posizionare le figure sullo sfondo di un paesaggio: un paesaggio immaginato come un idillio pastorale. Tuttavia, l’interpretazione di questi temi, la resa dei soggetti sia palesi che nascosti, evidenzia la ferma individualità artistica di Tiziano. Il concetto più importante espresso in questo dipinto è la manifestazione dell’intransigente innovazione del giovane artista. La prima idea, inizialmente tracciata, di rappresentare un’Adorazione posizionata contro un panorama così considerevole, riprende profondamente l’interpretazione dei temi di Giorgione ed è stata associato ad alcune versioni molto conosciute di opere del maestro di Castelfranco con gli stessi o simili soggetti. Tuttavia quest’opera testimonia l’attiva ricerca del giovane artista: rifiutando i tradizionali schemi compositivi, Tiziano sviluppa l’idea giorgionesca dello sfondo con paesaggio, seguendo direzioni differenti: accanto agli approcci e ai concetti più innovativi del Giorgione, l’influenza dei maestri olandesi, fiamminghi e tedeschi è chiaramente avvertita nel dipinto. L’iniziale interazione tra le figure e il paesaggio porta quest’ultimo a ottenere una qualità quasi panoramica: una concezione spaziale similare può essere rintracciata, ad esempio, nel Riposo durante la fuga in Egitto attribuita a Joachim Patinir, opera anch’essa custodita all’Ermitage. Tiziano però crea un allestimento iconografico per l’Adorazione atipico per l’arte veneziana: san Giuseppe regge la fascia in cui è avvolto Cristo, un motivo questo che l’autore del dipinto ha preso in prestito dagli artisti olandesi. Se l’artista si era dimostrato uno sperimentatore nell’Adorazione con bambino – aggiungendo qualcosa di innovativo – ha scelto invece un approccio tradizionale nella Fuga in Egitto creando una composizione ispirata agli affreschi di Giotto, di analogo soggetto, presenti a Padova nella Cappella degli Scrovegni. Muovendo le figure verso la sinistra del dipinto, Tiziano ha così conferito un movimento calmo e cadenzato lungo tutto il piano del dipinto.

La rigorosa concisione di questa composizione ispirata a Giotto, ricolma dei ricchi toni della tavolozza ad olio dell’artista e combinata con la pezzata vegetazione in primo piano e il paesaggio ben sviluppato nello sfondo, fa sì che il dipinto somigli più a un arazzo che a un affresco. Dopo la pulitura, le figure dei personaggi principali sono cambiate totalmente: la tonalità dei loro indumenti è mutata in maniera spettacolare, sia in termini di colore sia nella modellazione di luci e ombre, che ora dimostra di avvicinarsi maggiormente alle prime opere dell’artista. la relazione tra le figure e lo sfondo, rilevata grazie a quest’ultimo restauro, ha donato un tono di monumentalità all’opera, mentre la composizione così incorniciata conferisce alla Fuga in Egitto una certa qualità arcaica. Il prototipo dell’angelo si riaggancia sia agli angeli del Bellini sia ai cosiddetti “pageboys” di Giorgione, tuttavia i temi di Giorgione sono resi in modo più sorprendente nel paesaggio. Lo sviluppo intricato della vegetazione, presentata in primo piano nell’opera di Tiziano, mostra la stessa precisione da “manuale di botanica” che si ritrova in Leonardo, Dürer e alcune volte proprio in Giorgione (semplicemente comparando il primo piano della Giuditta), ma con un’umanità e un senso del vero che stupiscono.

È noto che dopo la creazione della Fuga in Egitto Tiziano non tornò mai più su questo soggetto, anzi che nel panorama artistico di Venezia solo Jacopo Bassano sembra abbia affrontato questo tema, quasi trent’anni dopo, scegliendo però, accidentalmente, la stessa composizione di Giotto e di Tiziano.

(tratto da Irina Artemieva)

La fuga in Egitto, mostra a Venezia
 
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